sabato 8 aprile 2017

Una proposta organica, con cambiamenti specifici e concreti per una vera Repubblica Presidenziale


"A chi dice che la Repubblica presidenziale presenta il pericolo delle dittature, ricordo che in Italia come si è veduta sorgere una dittatura non da un regime a tipo presidenziale, ma da un regime a tipo parlamentare, anzi parlamentaristico, in cui si era verificato proprio il fenomeno della pluralità dei partiti e della impossibilità di avere un governo appoggiato ad una maggioranza solida che gli permettesse di governare." 
Piero Calamandrei 5 Settembre 1946

Questa revisione costituzionale prende come spunto la proposta Presidenziale PDL del 2013( per la parte espressamente riguardante il Presidente della Repubblica). Ispirandosi alla Costituzione Francese viene creato il nuovo art. 95 che stabilisce chiaramente i rapporti tra Governo e Parlamento, con l'obbiettivo di stabilire un rapporto equilibrato tra chi ha il diritto di governare e chi ha il compito di controllare l'operato del governo. Viene introdotto il vincolo di mandato (art. 67) ed il referendum per i trattati internazionali che possono minare la sovranita' nazionale. I membri della Camera vengono ridotti a cinquecentododici e la meta' di questi vengono selezionati dalla societa' civile, dalle attivita' produttive ed dal mondo del lavoro (art.56). 

Titolo V
 - Vengono abolite le Province,
- I comuni fino a cinquemila abitanti si devono unificare amministrativamente nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge.
 - Viene abrogato l'art. 99 (CNEL).
 - Le Regioni vengono ridotte da ventuno ad un massimo di dieci (art. 131 (4)).Viene rivisto il numero di senatori spettante a ciascuna delle nuove Regioni.
- Viene revisionato l'art. 117 nella direzione di un forte regionalismo federale, prendendo spunto dai sistemi USA e Tedesco che garantisca sia l'unita' verso l'esterno, sia il mantenimento ed il rispetto delle autonomie locali e regionali. 
- Vengono stabilite le competenze esclusive del governo Federale, quelle esclusive delle Regioni e quelle dove la responsabilita' tra Stato e Regioni viene condivisa.




1. L'articolo 83 della Costituzione è sostituito dai seguente:
      
«Art. 83. – Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato. Rappresenta l'unità della Nazione e ne garantisce l'indipendenza. Vigila sul rispetto della Costituzione. E' responsabile per la sicurezza e l'integrita' del territorio nazionale. Assicura il rispetto dei trattati e degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia a organizzazioni internazionali e sovranazionali.  Rappresenta l'Italia in sede internazionale ed europea.
Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto. Sono elettori tutti i cittadini che hanno compiuto la maggiore età».

Art. 2.
(Modifica dell'articolo 84 della Costituzione).
      1. L'articolo 84 della Costituzione è sostituito dal seguente:  «Art. 84. – Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto quaranta anni di età e goda dei diritti politici e civili.  L'ufficio è incompatibile con qualsiasi altra carica e attività pubblica o privata. La legge prevede disposizioni idonee a evitare conflitti tra gli interessi privati del Presidente della Repubblica e gli interessi pubblici. A tale fine la legge individua le situazioni di ineleggibilità e di incompatibilità. L'assegno e la dotazione del Presidente della Repubblica sono determinati per legge».

Art. 3.
(Modifica dell'articolo 85 della Costituzione).
      1. L'articolo 85 della Costituzione è sostituito dal seguente:  «Art. 85. – Il Presidente della Repubblica è eletto per cinque anni. Può essere rieletto una sola volta. Il Presidente del Senato della Repubblica, il novantesimo giorno prima che scada il mandato del Presidente della Repubblica, indice l'elezione, che deve aver luogo in una data compresa tra il sessantesimo e il trentesimo giorno precedente la scadenza.
      Le candidature sono presentate da un gruppo parlamentare delle Camere, ovvero da duecentomila elettori, o da deputati e da senatori, da membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, da consiglieri regionali, da presidenti delle Giunte regionali e da sindaci, che vi provvedono nel numero e secondo le modalità stabiliti dalla legge.
      I finanziamenti e le spese per la campagna elettorale, nonché la partecipazione alle trasmissioni radiotelevisive sono regolati dalla legge al fine di assicurare la parità di condizioni tra i candidati.
      È eletto il candidato che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi. Qualora nessun candidato abbia conseguito la maggioranza, il quattordicesimo giorno successivo si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno conseguito il maggior numero di voti.
      La legge disciplina la procedura per la sostituzione e per l'eventuale rinvio della data dell'elezione in caso di morte o di impedimento permanente di uno dei candidati.
      Il Presidente della Repubblica assume le funzioni l'ultimo giorno del mandato del Presidente uscente. In caso di elezione per vacanza della carica, il Presidente assume le funzioni il settimo giorno successivo a quello della proclamazione dei risultati elettorali.
      Il procedimento elettorale e le altre modalità di applicazione del presente articolo sono regolati dalla legge».

Art. 4.
(Modifica all'articolo 86 della Costituzione).
      1. Il secondo comma dell'articolo 86 della Costituzione è sostituito dal seguente:
      «In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato della Repubblica indice l'elezione del Presidente della Repubblica entro dieci giorni. L'elezione deve avere luogo in una data compresa tra il sessantesimo e il novantesimo giorno successivo al verificarsi dell'evento o della dichiarazione di impedimento».

Art. 5.
(Modifiche all'articolo 87 della Costituzione).
      1. All'articolo 87 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni: a) il primo comma è sostituito dal seguente:  «Il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio supremo per la politica estera e la difesa, costituito secondo la legge, e ha il comando delle Forze armate»; b) il nono comma è sostituito dal seguente: «Dichiara lo stato di guerra deliberato delle Camere»; c) l'ottavo comma e' sostituito dal seguente :"Accredita e riceve i Capi di Stato e di Governo esteri, negozia e ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Sottopone a Referendum popolare  trattati internazionali che potenzialmente possono compromettere o minare la sovranita' Nazionale, prima che questi vengano convertiti in legge.  [80]"; d) Il decimo comma e' abrogato.

Art. 6.
(Modifica dell'articolo 88 della Costituzione).
      1. L'articolo 88 della Costituzione è sostituito dal seguente:  «Art. 88. – Il Presidente della Repubblica può, sentiti il Primo ministro e i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Se la scadenza delle Camere cade nell'ultimo semestre del mandato del Presidente della Repubblica, la loro durata è prorogata. Le elezioni delle nuove Camere si svolgono entro due mesi dall'elezione del Presidente della Repubblica. La facoltà di cui al primo comma non può essere esercitata durante i dodici mesi che seguono le elezioni delle Camere».

Art. 7.
(Modifica dell'articolo 89 della Costituzione).
      1. L'articolo 89 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 89. – Gli atti del Presidente della Repubblica adottati su proposta del Primo ministro o dei ministri sono controfirmati dal proponente, che ne assume la responsabilità. Non sono sottoposti a controfirma la nomina del Primo ministro, l'indizione delle elezioni delle Camere e lo scioglimento delle stesse, l'indizione dei referendum nei casi previsti dalla Costituzione, il rinvio e la promulgazione delle leggi, l'invio dei messaggi alle Camere, le nomine che sono attribuite al Presidente della Repubblica dalla Costituzione e quelle per le quali la legge non prevede la proposta del Governo».

Art. 9.
(Modifiche all'articolo 104 della Costituzione).
      1. All'articolo 104 della Costituzione, il secondo e il terzo comma sono sostituiti dai seguenti:  «Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Primo presidente della Corte di Cassazione. Ne fa parte di diritto anche il Procuratore generale presso la Corte di cassazione».


TITOLO III
IL GOVERNO
SEZIONE I. – Il Consiglio dei Ministri.
Art. 92. (Nuovo)
Il Governo della Repubblica e` composto dal Primo Ministro e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina Primo Ministro e, su sua proposta o di questo i Ministri. Il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio dei ministri, salvo delega al Primo Ministro. Il Presidente della Repubblica , se si presentano  condizioni che mettono a rischio la governabilita' e la stabilita' governativa, può revocare la fiducia al Primo Ministro il cui governo diventa dimissionario. Per le stesse motivazioni, anche il Parlamento può presentare una mozione di sfiducia nei confronti del Primo Ministro. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. Se la mozione di sfiducia viene approvata il Primo Ministro deve presentare le sue dimissioni al Presidente della Repubblica ed il suo governo diventa dimissionario. Il Capo dello Stato, in entrambi casi, nomina il nuovo Primo Ministro entro dieci giorni dalle dimissioni.

Art. 93.
Viene aggiunto il seguente comma : "Il Governo della Repubblica si insedia senza fiducia."

Art. 94. (Nuovo)
Il Primo Ministro e' responsabile della difesa nazionale. Assicura l'esecuzione delle leggi. Dirige e determina la politica generale del  Governo e ne e` responsabile. Può delegare alcuni poteri ai ministri. Può, a titolo eccezionale, sostituire il Presidente della Repubblica nel Consiglio dei Ministri in virtù di una delega espressa e per un ordine del giorno determinato. I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri [89]. La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri [971

Art. 95. -  Governo e Rapporto con il Parlamento (Nuovo)

I)Il Governo determina e dirige la politica nazionale. È responsabile davanti al Parlamento per il suo operato

II)Dispone dell'amministrazione e delle forze armate.

III)Gli atti del Primo Ministro sono controfirmati, quando occorra, dai ministri incaricati della loro esecuzione.

IV) Decreti ed Ordinanze Governative  sono gli strumenti a disposizione del Governo per l'ordinaria amministrazione dello Stato, mentre i disegni di legge possono essere approvati solo ed esclusivamente attraverso il dibattito ed il voto del Parlamento. La Corte dei Conti può imporre la revisione dei decreti governativi di natura finanziaria se ritiene ci siano dubbi sulle reali coperture.

V)Il Primo Ministro, su deliberazione del Consiglio dei ministri, impegna dinanzi al Parlamento la responsabilità del Governo sul suo programma o eventualmente su una dichiarazione di politica generale

VI)L'ordine del giorno del Parlamento comporta, per priorità e nell'ordine fissato dal Governo, la discussione dei disegni di legge presentati dal Governo e delle proposte di legge da esso accettate.

VII)Opposizioni e gruppi di maggioranza possono presentare un numero limitato di emendamenti ai disegni di legge in discussione. Tali emendamenti devono essere discussi ed approvati da ciascun gruppo parlamentare prima della loro presentazione. I regolamenti parlamentari stabiliscono il numero di tali emendamenti.

VIII)Il Ministro dell'economia, collegialmente con il Primo Ministro, i Ministri e con il supporto della Corte dei Conti, redige la legge finanziaria del governo. Vengono ammessi a votazione esclusivamente un numero limitato di emendamenti migliorativi. Tali emendamenti devono essere concordati all'interno dei singoli gruppi di maggioranza e minoranza prima di essere presentati. I regolamenti parlamentari stabiliscono il numero di tali emendamenti.

IX)In ogni caso, per emendamenti si intende miglioramenti al testo originale del disegno di legge. Emendamenti puramente ostruzionistici non sono ammessi al dibattito parlamentare

X)Ogni settimana una seduta è riservata, con precedenza su ogni altra questione, alle interrogazioni dei membri del Parlamento ed alle risposte del Governo.

XI)Un quarto dei componenti della Camera dei Deputati può sollevare la questione di legittimità costituzionale delle leggi approvate dal Parlamento entro trenta giorni dalla loro entrata in vigore. Lo stesso numero dei componenti della Camera, entro lo stesso termine, può sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale di un decreto od ordinanza Governativa per violazione o eccesso di delega. Con legge costituzionale sono stabiliti condizioni, limiti e modalità di esercizio di tale facoltà».

XII) Il Governo convoca la Conferenza tra Stato e le Regioni interessate, per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali di interesse nazionale, con lo scopo di definire percorsi, risolvere criticita' di natura ambientale, modi,  tempi e le necessarie compensazioni per i vari enti e popolazioni locali coinvolte.

XIII) In caso di  stallo parlamentare il Primo Ministro può decidere di porre la fiducia su un provvedimento legislativo specifico del suo programma di governo. Se la fiducia non passa il Primo Ministro deve presentare le dimissioni al Presidente della Repubblica ed il suo governo diventa dimissionario. Il Capo dello Stato accetta le dimissioni con riserva.

XIV) I disegni di legge per iniziativa del Primo Ministro o di qualsiasi membro della Camera dei Deputati ed adottati dal governo, possono essere discussi e votati nelle commissioni competenti per il termine massimo di novanta giorni . Trascorso il tempo massimo per il dibattimento ed in presenza di un testo finale, il Presidente della Camera,sentiti Primo Ministro e gruppi parlamentari, fissa la data certa per il voto in aula od in sede legislativa.In assenza di un testo unico dopo 70 giorni, il Governo può decidere di approvare temporaneamente, anche se ritiene che ve ne sia l'urgenza, un provvedimento specifico del suo programma di governo come ordinanza o decreto governativo.

XV) Il Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di emergenza. Non può essere esteso oltre i quindici giorni senza l'assenso della Camera dei Deputati.

XVI) Membri del governo o della Camera dei Deputati il cui disegno di legge e' in discussione,  hanno la facolta' di richiedere un udienza parlamentare aperta al pubblico in apposita sede per confrontarsi con membri del parlamento contrari al disegno di legge in questione ed il cui voto in aula puo' incidere negativamente sull'esito finale. Questa opzione puo' essere esercitata una volta sola. I regolamenti parlamentari stabiliscono la durata temporale dell'udienza.

Art. 97.
Viene aggiunto il seguente comma in principio:  "Il Governo e' responsabile per l'efficenza e l'integrita' della Pubblica Amministrazione". 
Art. 67. (Nuovo)
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni con vincolo di mandato. Qualora un membro del Parlamento decida di lasciare il gruppo di appartenenza politica con cui e' stato eletto deve presentare le sue dimissioni da parlamentare.

Art. 81. (1)
Il quarto comma viene sostituito dal seguente : "Il Governo redige ogni anno la legge di bilancio". Nel sesto comma, dopo la parola "amministrazioni" viene sostituito dal seguente: "sono responsabilita' del Governo". 

Art. 70. (Nuovo)
La funzione legislativa e` esercitata dalla sola Camera dei deputati, al Senato sono affidate questioni relative alla legislazione regionale.
Art. 71.
La parola "Governo" viene sostituita dal seguente :"Primo Ministro". Nel secondo comma la parola "cinquantamila" viene sostituita dal seguente : "centocinquantamila".
Art. 72.
Nel primo comma "presentato ad una Camera e', " viene sostituito dal seguente "presentato alla Camera dei Deputati e`," 
Art. 73.
Nel primo comma  "Se le Camere" viene sostituito dal seguente "Se la Camera dei Deputati"  
Art. 75.
Viene introdotto il seguente comma all'inizio : "Il Presidente della Repubblica, per sua iniziativa o quella del Governo, indice referendum pertinenti la modifica della Costituzione." 
Art. 56 (1) Nuovo)
La Camera dei deputati e` eletta a suffragio universale e diretto.
Il numero dei deputati e` di cinquecentododici, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero, duecentocinquanta sono espressione delle forze politiche liberamente elette, duecentocinquanta sono rappresentativi della societa' civile, delle categorie del mondo del lavoro e della produzione.Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di eta`. L'elezione dei deputati avviene attraverso le modalita' stabilite dalla legge. L'elezione dei deputati appartenenti alle due gategorie avviene contemporaneamente. La legge stabilisce le modalita' per l'elezione dei deputati provenienti dalla societa' civile, dalle categorie del mondo del lavoro e della produzione. Il diritto di voto dei Deputati e' personale.
Il Senato della Repubblica e` eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.Il numero dei senatori elettivi e` di cento, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Viene abrogato l'articolo 59 riguardante i senatori a vita.


lunedì 13 febbraio 2017

Riassunto storico dell'idea presidenzialista in Italia

L’abbraccio del presidenzialismo
 
Pier Luigi Tolardo
 
Il primo in Italia a proporre una trasformazione in senso presidenzialista dell’assetto istituzionale, dopo che nell’Assemblea Costituente era prevalso a larga maggioranza l’attuale regime parlamentare, è stato Randolfo Pacciardi.
Figura prestigiosa dell’antifascismo laico, comandante delle Brigate Internazionali durante la guerra di Spagna, ministro della Difesa nei primi governi centristi del dopoguerra, Pacciardi si pone all’interno del Partito Repubblicano in forte contrapposizione, nei primi anni ’60, con il leader Ugo La Malfa sulla scelta del centrosinistra con i socialisti, fino a rompere con il PRI da cui sarà espulso. Dopo aver lasciato il PRI fonda il movimento “Nuova Repubblica”che si presenterà alle elezioni senza raggiungere mai alcuna rappresentanza parlamentare. Per Pacciardi la scelta “gaullista” del presidenzialismo sul modello francese vuole essere come in Francia una diga anticomunista e atlantista a sinistra, alternativa all’allargamento delle maggioranze parlamentari al PSI, perseguita dalla DC anche con lo scopo di isolare i comunisti.
L’altra matrice del presidenzialismo italiano è quella missina: Almirante nel fondare la Destra Nazionale, che vuole allargare alla fine degli anni ’60 il consenso del MSI, pone la svolta in senso presidenzialista al centro del programma del suo partito. Quest’area politica continuerà a invocare il presidenzialismo anche nel passaggio dall’ MSI ad AN, e sino alla fondazione di “Futuro e Libertà” da parte di Fini nel 2012. Il culto del Capo, fulcro della dottrina fascista, assume con il presidenzialismo, le sembianze di una destra che aspira a costituzionalizzarsi sul modello francese.
L’elezione diretta del Capo dello Stato, che diventa responsabile dell’esecutivo, figura in testa negli anni ’80 nel programma della Loggia P2 di Gelli che si propone una trasformazione in senso autoritario dello Stato.
È però Bettino Craxi alla fine degli anni ’80 a sdoganare definitivamente la categoria del presidenzialismo nel dibattito politico e istituzionale italiano. Craxi è suggestionato dall’esperienza francese e dal modello Mitterand. Il leader socialista francese, che pure aveva combattuto duramente la riforma presidenzialista di De Gaulle, vince le elezioni presidenziali, egemonizzando la sinistra francese, fino ad allora dominata dal PCF, riuscendo a ridurre il peso politico, elettorale, organizzativo dei comunisti. Per Craxi la riforma non si allarga al sistema elettorale per il quale prevede solo limiti al frazionamento mantenendo il proporzionale.
Craxi viene duramente avversato in questo dal PCI di Berlinguer, che bolla come una rischiosa deriva autoritaria e personalistica il progetto di Craxi e del suo costituzionalista Giuliano Amato.
Anche De Mita, allora leader della DC, parla di “rischio peronista” e contrappone al presidenzialismo il progetto di Ruffilli di rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio e di garanzie alla governabilità.
Il presidente Francesco Cossiga nel 1992 – in un suo ultimo, lungo e denso messaggio alle Camere, che il Presidente del Consiglio in carica Giulio Andreotti rifiuta di controfirmare – propone il passaggio dal regime parlamentare al regime presidenziale come soluzione per la crisi istituzionale italiana. Trova però in Oscar Luigi Scalfaro il suo più forte oppositore che gli replica in un memorabile discorso alla Camera, facendo sue le critiche a una deriva pericolosa per la democrazia e ribadendo le ragioni del parlamentarismo.
Con l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi per le elezioni del 1994, il presidenzialismo diventa uno dei cavalli di battaglia di Forza Italia e del centrodestra, punto forte del suo programma e di incontro con la destra post-missina.
Nel 1996 il tentativo di Antonio Maccanico di costituire un “governo di unità nazionale” tra Forza Italia, AN, DS e PPI, avrebbe avuto nel presidenzialismo uno dei suoi punti qualificanti: addirittura nel ricevimento alla Nunziatura in Italia, l’allora Segretario di Stato cardinal Sodano esprime apprezzamento per il presidenzialismo, cercando di attenuare le resistenze degli allora Popolari a questo governissimo. Ma è Berlusconi stesso, su spinta di Fini, a mandare al’aria il tentativo di Maccanico.
Ancora il presidenzialismo, come base di intesa fra centrosinistra e centrodestra, viene addirittura approvato, con il voto contrario dei Popolari, nella Commissione Bicamerale per le Riforme presieduta da D’Alema nella legislatura della prima vittoria di Prodi. Per D’Alema il presidenzialismo è oggetto di scambio con una riforma elettorale che introduca il maggioritario a doppio turno, ritenuto dai DS particolarmente favorevole per il più forte partito del centrosinistra. Anche in questo caso la Bicamerale, per l’irrigidimento di Berlusconi, non approda a nulla.
Nel 2005 la riforma costituzionale approvata dal solo centrodestra, respinta dal referendum popolare confermativo (anche se al Nord passa) non prevede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica ma bensì del Capo del Governo, a cui viene trasferito il potere di sciogliere le Camere. Da qui la famosa colorita espressione di Scalfaro, per cui “ il Presidente della Repubblica viene lasciato in canottiera”.
Dobbiamo quindi arrivare alle elezioni del 2013 quando, per la prima volta il Movimento 5 Stelle,che crede in una forte democrazia diretta con l’uso della Rete, pone in votazione fra gli iscritti (anche se la partecipazione è ridotta a circa 20.000 partecipanti) il suo candidato alla Presidenza della Repubblica e anche molti neodeputati giovani del PD subiscono una forte pressione dalla base, attraverso i social network, rispetto alle elezioni del Presidente. La rielezione di Napoletano ha rilanciato il tema del presidenzialismo: il Presidente ha utilizzato fino al massimo limite i poteri che gli riserva della Costituzione, in una delle più gravi crisi economico-sociali della storia della Repubblica e nel mezzo di una forte crisi del partito di maggioranza relativa. Il centrodestra designa Gaetano Quagliariello, studioso di De Gaulle e del gaullismo, a ministro delle Riforme istituzionali, mentre due importanti leader del PD, uno più vecchio come Walter Veltroni, già segretario nazionale dei DS, l’altro più giovane e in ascesa come Matteo Renzi, di provenienza popolare e margheritina, affermano con chiarezza che la sinistra dovrebbe scrollarsi di dosso il tabù dell’antileaderismo e scegliere con forza il presidenzialismo. Renzi pone questa scelta come base della sua candidatura a premier.
Sembra che il cerchio si chiuda: non più solo appannaggio e riserva ideologica della destra italiana, nelle sue varie forme e ispirazioni, il centrosinistra sembra fare suo il presidenzialismo “senza se e senza ma”, rompendo proprio sul punto che vedeva la saldatura fra cattolici democratici e sinistra nel rifiuto del presidenzialismo.
Su questo, credo, i Popolari debbano riflettere. Anche sapendo andare controcorrente rispetto a mode e conformismi.

lunedì 6 febbraio 2017

Giorgio Almirante

Almirante fu maestro di democrazia e pacificazione, le sue idee sono vive e attuali

di Maurizio Gasparri

1979, congresso di Napoli del Msi-Dn. Giorgio Almirante, leader della destra italiana, lanciò una grande offensiva di democrazia e di partecipazione, quella della nuova Repubblica. La battaglia presidenzialista per l’elezione popolare a suffragio universale del Capo dello Stato fu per la destra italiana una scelta convinta e prioritaria. Fu oggetto d’intense campagne politiche e proprio nel congresso di Napoli trovò la sua sintesi con una proposta organica di riforma dello Stato.
Il tema si era affacciato anche ai tempi della Costituente e Calamandrei e altri avrebbero probabilmente voluto una scelta più coraggiosa quando si scrissero le nuove regole della Repubblica italiana. Ma il nodo non è stato sciolto ancora oggi. Parto da questa riflessione per attualizzare l’eredità di Giorgio Almirante nel giorno in cui ricordiamo i 25 anni dalla sua scomparsa.
A quanti lo hanno troppo sbrigativamente giudicato un nostalgico proponiamo una diversa lettura. Giorgio Almirante fu maestro di democrazia e di pacificazione. Incontrando nei giorni scorsi i fratelli Mattei, mi è tornata alla mente quella drammatica giornata dell’aprile 1973, quando da giovane militante del Fronte della gioventù andai ai funerali di Stefano e Virgilio bruciati da Potere operai nel rogo di Primavalle.



Sulla scalinata della Chiesa di Piazza Salerno, Giorgio Almirante disse: “chiediamo giustizia, non vendetta”. Almirante invitò costantemente alla pacificazione tra gli italiani. E lo fece durante gli anni di piombo, in un tempo ancora non sufficientemente lontano dagli odi e dai rancori della guerra civile. Lo voglio ricordare oggi che di pacificazione si torna a parlare in altri contesti, di grande polemica e di scontro politico, ma certamente diversi dai tempi cruenti degli anni di piombo durante i quali parlare della pacificazione era un atto di grande coraggio.
Ma Giorgio Almirante fu innovatore anche sul fronte delle istituzioni. Altro che nemico della democrazia! Con il presidenzialismo voleva un coinvolgimento più ampio dei cittadini nelle scelte fondamentali della vita dello Stato e della democrazia governante.
Oggi quella svolta non si è ancora realizzata. Ma il fronte presidenzialista si allarga e si estende. Anche quelli più ostili a questo principio ne diventano di fatto fautori quando suppliscono con le consultazioni via internet a quel bisogno di democrazia diretta di cui la destra si è fatta sempre interprete in questo lungo dopoguerra. E quel congresso di Napoli del ’79 elevò quella della nuova Repubblica presidenzialista a scelta prioritaria e identitaria della destra italiana. Ancora qualcuno all’epoca diceva che dietro quella proposta ci fosse un’istanza autoritaria. Non era così allora e tantomeno lo è oggi.
Almirante, quindi, è stato non solo un leader coraggioso, un infaticabile esponente politico che peregrinò incessantemente per tutta l’Italia, dando sostanza fisica alla rappresentanza delle idee. Fu anche un fautore di scelte di avanguardia e di rafforzamento della democrazia repubblicana. Ponendo questioni che ancora oggi sono al centro del dibattito politico. Ed è per questo che ho voluto citarlo e ricordarlo nella relazione che accompagna la proposta di legge di modifica costituzionale che ho presentato in apertura di questa diciassettesima legislatura al Senato, affinché la Costituzione venga modificata e preveda finalmente l’elezione diretta a suffragio universale del Presidente della Repubblica.
Rendiamo omaggio a 25 anni dalla scomparsa a colui che ci ha insegnato la pacificazione e la democrazia. A quanti non se ne fossero resi ancora conto in ambienti politici diversi dal nostro, chiediamo di fare un’onesta riflessione e di unire al nostro omaggio anche il loro. Per qualcuno forse sarà un atto tardivo. Ma per le scelte di buonsenso non è mai troppo tardi. Noi che lo abbiamo conosciuto e che da lui molto abbiamo imparato, lo ricordiamo con commozione, consapevoli che cercò sempre di portare gli ideali e i valori della destra in ambiti più vasti. Fu fautore della costituente della destra nazionale, della costituente di destra, cercando in epoche ben più difficili di quelle che viviamo oggi di non farsi mai isolare in un ghetto identitario. Cercò di condividere i valori della destra. Ed è quello che ciascuno di noi dovrà continuare a fare nell’Italia del nuovo millennio.

mercoledì 1 febbraio 2017

Randolfo Pacciardi


Pacciardi, l'ultimo mazziniano

Tra i paladini del superamento della Prima Repubblica fu da sempre impegnato sul fronte della liberta'



Uno dei più lucidi assertori del superamento della Prima Repubblica è stato certamente Randolfo Pacciardi (1899-1991), uomo politico tra i più lungimiranti, impegnato sempre sul fronte della libertà, repubblicano mazziniano, combattente in Spagna nel fronte antifranchista, esponente di primo piano della rinascita italiana, animatore del Pri nel quale fu in contrapposizione con Ugo La Malfa, padre-padrone a lungo di quel partito che pure era un punto di riferimento gremito di uomini di indubbie qualità intellettuali e morali, critico nei confronti del nascente centrosinistra agli inizi degli anni Sessanta fu per questo "costretto" a passare all'opposizione fino ad essere espulso per le sue posizioni eterodosse che possono essere riassunte nella formula della "Seconda Repubblica" alla quale intendeva dare vita ed alla quale pensava fin da quando era ministro della Difesa nei governi centristi del dopoguerra, probabilmente il miglior ministro della Difesa che l'Italia abbia avuto. Di Pacciardi tutto si può dire, come si evince dal bellissimo libro che Paolo Palma, massimo indagatore della vita dell'uomo politico, gli ha dedicato (Randolfo Pacciardi. Profilo politico dell'ultimo mazziniano, Rubbettino editore, pp.221, 15 euro), ma certamente gli va riconosciuto, anche da parte dei detrattori, il coraggio delle idee manifestato anche quando non gli conveniva. E la sua marginalità si spiega, infatti, come osserva Palma "nell'ostracismo politico prima che storiografico di cui Pacciardi fu vittima per la scelta centrista e atlantica del '47 cui seguì un sempre più accentuato anticomunismo, fino ai suoi equivoci rapporti con l'estrema destra negli anni '60 e '70, al tempo della battaglia presidenzialista di Nuova Repubblica". Palma si riferisce al rapporto privilegiato che il vecchio antifascista stabilì con il suo collaboratore più brillante, colto ed intelligente, il giovane Giano Accame, proveniente dalle file del neo-fascismo, ma già in grado di sottrarsi alla "mummificazione" ed alla irrilevanza politico-culturale aprendosi a nuovi orizzonti sui quali si stagliava una concezione della democrazia partecipativa e decidente simile a quella nutrita da Pacciardi. Il feeling tra i due fu particolarmente proficuo al punto che il vecchio repubblicano gli affidò la sua rivista "Folla", poi diventata, per motivi economici una meno pretenziosa, ma altrettanto stimolante "Nuova Repubblica" dalla quale Accame, con l'apporto decisivo di giovani come Mauro Mita (il più gollista del gruppo), ingaggiò la battaglia della sua vita, quella per la trasformazione della Repubblica dei partiti in Repubblica presidenziale. L'accelerazione venne data dall'ingresso nell'area della maggioranza e di governo poi, nel 1962, dal Psi che Pacciardi vedeva come un'apertura all'inserimento progressivo del Pci nelle istituzioni e lui, per le scelte atlantiche che aveva fatto, non poteva consentirlo, giudicando "morbido", se non arrendevole l'atteggiamento del suo Pri dal quale venne cacciato e fondò l'Unione democratica per la Nuova Repubblica che debuttò il 10 maggio 1964 con una imponente manifestazione all'Adriano di Roma nella quale lanciò il movimento per la Seconda Repubblica, sintetizzandolo nello slogan "Dobbiamo arrivare al cuore della folla per rifare lo Stato e disfare le sette". Chiara l'allusione contro la partitocrazia ispiratagli da un grande costituzionalista, anch'egli meritevole di essere ripreso e studiato: Giuseppe Maranini, a cui Palma, molto opportunamente dedica un capitolo particolarmente denso, riconoscendogli il merito di aver criticato per primo l'ingerenza dei partiti nella pubblica amministrazione e la loro invadenza nella vita associata, oltre ad aver inventato il termine "partitocrazia" nei suoi articoli pubblicati sul "Corriere della sera" e poi raccolti nel volume Il tiranno senza volto, summa di una teorica innovativa delle istituzioni e di una serrata critica al sistema che si stava affermando. Pacciardi colse molto da Maranini e lo seguì sulla strada di una scelta tutta italiana nell'immaginare il presidenzialismo che doveva essere il cuore della democrazia diretta a cui il suo movimento intendeva conformarsi. In lui prevaleva l'ispirazione gollista, ma il modello che prediligeva era quello americano. Si discuterà a lungo si come si sarebbe configurata la "Repubblica pacciardiana" se avesse avuto successo il tentativo che venne oscurato dalle accuse di golpismo e sovversivismo, fino a ridurre al silenzio o quasi il suo promotore di quella che gli spiriti migliori intravedevano come il superamento delle insufficienze istituzionali che tanti disastri avrebbero provocato, come purtroppo abbiamo sperimentato. Pacciardi, in un illuminante libretto che bisognerebbe ripubblicare, La repubblica presidenziale spiegata al popolo (1972), sosteneva la necessità di "organizzare una repubblica che non abbia più le crisi perpetue, che abbia un governo duraturo e valido, che concili l'autorità con la libertà. Ciò non si può ottenere nel nostro Paese, che ridando prestigio e autorità al Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica deve essere eletto dal popolo. Deve costituire un governo di cui è l'esponente e il responsabile, al di fuori del Parlamento, fra gli uomini più illustri e competenti". Parole più chiare non potrebbero attagliarsi alla situazione presente per descrivere le esigenze della modernizzazione delle istituzioni. Non senza difficoltà, Pacciardi nell'ottobre 1980 rientrò nel Pri. Spadolini gli riconsegnò la tessera. Ma continuò ad essere ignorato. L'estremo saluto dieci anni dopo, non lo avrebbe gradito. Accame che gli restò sempre al fianco notò che ebbe almeno la consolazione di "quel funerale repubblicano a cui aspirava. Fu in piazza Montecitorio una grande cerimonia ipocrita: lo celebrò nell'aprile 1991 la nomenclatura d'un sistema che l'aveva temuto, messo al bando, e solo da morto osava riappropriarsene senza presagire d'essere moribonda anch'essa. L'anno dopo scoppiò Tangentopoli". A ventuno anni dalla scomparsa cosa resta di Pacciardi lo vediamo nelle cronache disperate e nelle speranze che pochi sostengono. Il suo tempo, comunque, non è finito.


sabato 14 gennaio 2017

Calamandrei e la governabilità

Pubblicato da Claudio Cereda - 8 Luglio 2016
Il 3 settembre 1946 il professor Costantino Mortati (DC, 1891-1985) presenta una ampia relazione sulla organizzazione costituzionale dello Stato. Si tratta di una relazione che merita di essere letta sia per l'analisi dei diversi modelli costituzionali, sia per rendersi conto, per confronto, di come il gruppo democristiano abbia svolto, nella costituente, una funzione egemonica.
Essendo io figlio di una cultura storica formatasi a sinistra, devo dire che la lettura dei documenti mi induce a rivedere il peso di quella che nel dopoguerrra fu chiamata egemonia da parte del PCI e della cultura di sinistra.
I costituenti della sinistra, in ordine alla struttura dello stato balbettano o ricamano. Sono tutti proiettati sul tema dei diritti e hanno poco da dire sugli ordinamenti. Intervengono i repubblicani, alcuni grandi padri iberali come Einaudi, ma è Mortati a dare la linea.
Nei giorni precedenti la II sottocommissione aveva svolto una discussione generale (di premessa) sulle caratteristiche del nuovo stato in relazione al tema delle autonomie convenendo sul fatto che il nuovo stato dovesse superare l'impostazione centralistica. Era una specie di premessa generale alla istituzione delle Regioni come parte integrante dello Stato, nonostante le perplessità dei liberali e delle sinistre, e questo è stupefacente e poco noto visto che, a cose fatte, i ruoli si invertiranno e il PCI divenne il paladino del regionalismo.
Nella giornata del 4 e del 5 intervengono in molti ed è chiaro che si andrà verso un sistema parlamentare bicamerale in cui il potere esecutivo avrà dei margini ridotti di autonomia. E' a questo punto che Calamandrei, che si stava occupando come relatore del sistema giudiziario prende, la parola per spiegare la sua solitaria preferenza per il presidenzialismo, ma per sottolineare soprattutto che la carta della democrazia si gioca e si giocherà intorno alla governabilità. In alcune parti dell'intervento sembra di ascoltare le preoccupazioni di Renzi.
Ed ecco il resoconto integrale del suo intervento. La sua lettura (sul carattere cruciale della governabilità come essenza della democrazia) insieme al suo intervento del marzo 47 in Assemblea sulla discussione generale del testo appena licenziato dalla commissione dei 75 (intervento molto più ampio e che pubblicherò nei prossimi giorni), mi hanno lasciato molte perplessità sul carattere strumentale con cui lo citano molti sostenitori del NO.
Leggere i testi e non fidarsi dei pensieri da Baci Perugina che un tempo venivano chiamati Pensieri di Mao e stavano nel libretto rosso invece che nell'incarto dei cioccolattini.

Ritiene di essere il solo che abbia qualche simpatia, nonostante la discussione, per la repubblica presidenziale.
Crede che il risultato di questa discussione sia piuttosto scoraggiante, tanto per i fautori della repubblica presidenziale, in quanto ve n'è uno solo, che è lui, quanto per i fautori della repubblica parlamentare, che sono tutti gli altri, perché tutti, a quanto sembra, sono d'accordo nel ritenere che le costituzioni non servono a cambiare la situazione sociale quale è in realtà. Questo ha affermato l'onorevole Mortati nella sua relazione, in cui ha concluso dicendo che con le disposizioni si può fare assai poco. Quel che conta è quello che c'è sotto.
È quello che ha detto ieri l'onorevole Einaudi, il quale ha spiegato che la repubblica presidenziale funziona bene negli Stati Uniti perché là v'è il sistema dei due partiti, e che in Inghilterra funziona altrettanto bene il regime parlamentare, perché anche in Inghilterra ci sono i due partiti; e dove non esistono i due partiti, ma c'è una pluralità, uno sminuzzamento dei partiti, non funziona bene né la repubblica presidenziale, né quella parlamentare. Questa sembra la conclusione alla quale è poi arrivato l'onorevole Lussu, il quale, in sostanza, ha detto che in Italia sussiste il pericolo della guerra civile; onde occorre alla testa dello Stato un uomo che cerchi di evitarla.
Pur riconoscendo che la Costituzione non è che la forma cui si deve far aderire la sostanza sociale, crede che si possa avere una certa fiducia nella efficacia pedagogica delle leggi. La legge non basta a modificare la realtà, ma può essere uno degli stimoli per introdurre anche nella vita. politica il costume, il quale venga a modificare questa realtà sociale.
Nell'attuale situazione italiana, quale delle due forme di repubblica, presidenziale o parlamentare, può sembrare più idonea a contribuire al ristabilimento o allo stabilimento di un costume politico che faccia gradatamente avvicinare l'Italia ai paesi in cui funziona la democrazia? La democrazia, per funzionare, deve avere un Governo stabile: questo è il problema fondamentale della democrazia.
Se un regime democratico non riesce a darsi un governo che governi, esso è condannato.
A chi dice che la repubblica presidenziale presenta il pericolo delle dittature, ricorda che in Italia si è veduta sorgere una dittatura non da un regime a tipo presidenziale, ma da un regime a tipo parlamentare, anzi parlamentaristico, in cui si era verificato proprio il fenomeno della pluralità dei partiti e della impossibilità di avere un governo appoggiato ad una maggioranza solida che gli permettesse di governare.
Quindi il problema è questo: come si fa a far funzionare una democrazia che non possa contare sul sistema dei due partiti che, in Italia, in questo momento non esiste e che ancora per qualche tempo non esisterà, ma che deve invece funzionare sfruttando o attenuando gli inconvenienti di quella pluralità dei partiti la quale non può governare altro che attraverso un governo di coalizione?
Cioè: qual'è la forma dello Stato che meglio serve, a far funzionare un governo di coalizione, impedendo quelle, crisi a ripetizione che sono la rovina della democrazia, quella rovina che, se non fosse evitata, ricondurrebbe inevitabilmente, a più o meno lontana scadenza, ad una dittatura? Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici. Premesso questo, quelle cautele pratiche che sono state suggerite da vari colleghi per garantire che nella repubblica parlamentare si abbia stabilità di governo, sono veramente efficaci a questo scopo? È stato detto che bisognerà regolare la mozione di sfiducia, renderla difficile. Ma le crisi nei governi di coalizione avvengono indipendentemente dai voti di sfiducia: così oggi stesso in tutti i giornali si leggono allarmi dì crisi, indipendentemente da qualsiasi voto di sfiducia. È il governo di coalizione che non ha coesione, che si frantuma. Quindi è inutile emettere disposizioni che regolino e rendano difficile il voto di sfiducia, quando il pericolo è proprio nella scarsa solidità dei governi di coalizione.
D'altra parte, gli sembra poco efficace anche la cautela da altri suggerita di far annunziare dal Capo del Governo un programma di lavoro, la cui approvazione assicuri, automaticamente al Ministero una certa durata.
E' stato qui autorevolmente e lealmente spiegato come questa cautela sia assai illusoria e come, nonostante questa cautela, si possa arrivare ad una crisi il giorno dopo in cui il messaggio ha conseguito la maggioranza.
In conclusione: si può trovare un mezzo pratico più efficace di quelli proposti? Tutti sanno che questo è un momento in cui in Italia ogni Governo, per potere esplicare unopera efficace, deve avere la sicurezza di poter lavorare tranquillamente su un piano da svolgersi non con provvedimenti alla giornata, ma in un periodo di tre, quattro o cinque anni.
Quindi è un problema che sorge proprio dalla tragica situazione italiana, dalla necessità di piani la cui realizzazione sia resa possible dalla stabilità del governo. E allora, vi sono dei mezzi più efficaci di quelli proposti, per garantire questa stabilità? Non è tanto questione di nome: repubblica presidenziale o parlamentare. Ammesso pure che anche in repubblica parlamentare il Presidente, cioè il Capo dello Stato, debba essere al disopra dei partiti, nominato non come corifeo di un programma pohtico, ma come organo equilibratore che sta al disopra dei partiti, l'essenziale è che non il Capo dello Stato, ma il Capo del Governo abbia la sicurezza di poter governare. V'è modo di dare questa sicurezza? Se questo modo non esiste, comunque si voti, alla fine, sull'ordine del giorno, rimarrà in tutti un senso di imbarazzo e di delusione: si saranno votate delle formule, ma non si sarà trovato il modo di contribuire efficacemente a risolvere la situazione italiana.
In queste condizioni, se altri mezzi più efficaci non vengono suggeriti, egli rimane attaccato alla repubblica presidenziale. In questa, poiché il Presidente, per riuscire eletto, deve conseguire la metà dei voti, è necessario che si formi una coalizione, uno schieramento di due gruppi di partiti; e poiché l'elezione avviene su un programma del Presidente, è più facile che su questo programma si formi una coalizione che abbia probabilità di essere più stabile di quella illusoria che si può invece attendere dai sistemi proposti da chi dà la preferenza alla repubblica parlamentare.
Per queste ragioni voterà contro l'ordine del giorno del collega Patricolo.

domenica 4 settembre 2016

La Direzione Generale della Pubblica Amministrazione

L'ENA (L'École nationale d'administration) fu istituita il 9 ottobre 1945 dal governo provvisorio presieduto da Charles de Gaulle per garantire la formazione di una nuova classe dirigente per la neonata repubblica in seguito alla sconfitta del regime collaborazionista di Vichy. Protagonista della sua creazione fu il ministro Michel Debré. L'obiettivo era di creare una classe amministrativa unitaria tramite un concorso unico, affermando quindi il principio meritocratico contro quello clientelare e/o di cooptazione. La scuola aveva inizialmente sede nel quartiere parigino di Saint-Germain-des-Prés. Nel 1992 il primo ministro Edith Cresson - malgrado forti resistenze - decise il trasloco della scuola da Parigi a Strasburgo, che si è completato nel 2005 dopo dieci anni di transizione. La sede storica parigina è stata rilevata da Sciences Po, l'istituto universitario da cui proviene la maggior parte dei futuri allievi dell'ENA.L'istituzione dell'ENA si fondava sul duplice obiettivo di fornire allo Stato una classe dirigente di alto livello e al contempo di garantire a tutti i giovani cittadini un accesso giusto ed equo alla funzione pubblica fondato esclusivamente sul merito. Gli allievi della scuola sono selezionati attraverso un concorso particolarmente rigoroso. Ogni anno, su tremila candidati solamente ottanta sono effettivamente ammessi.L'obiettivo dell'ENA è di fornire ai futuri alti funzionari una formazione interdisciplinare. Il ciclo di formazione dura complessivamente ventiquattro mesi suddiviso in dodici mesi di studio e dodici mesi di tirocinio, effettuati in prefetture, rappresentanze diplomatiche ed imprese.
L'esperienza francese ci deve insegnare che una classe dirigente indottrinata con la giusta etica, morale ed efficenza puo' costruire un macchina amministrativa statale invidiabile. Se volessi proseguire con il mio pensiero Presidenziale Italiano, immaginerei una Direzione Generale della Pubblica Amministrazione direttamente sotto l'alveo Presidenziale, con la conseguente abolizione del Ministero della funzione Pubblica. La ragione di fondo di una scelta di questo tipo risiede esclusivamente nell'intenzione di trasformare la piaga burocratica nostrana in un vanto. Ve lo immaginate un Capo dello stato eletto dal popolo che vuole presiedere una pubblica amministrazione fatiscente? Il Presidente eletto dal popolo nomina il Direttore generale, ovviamente tutte le norme per veci e vacanza dell'uno e dell'altro vengono stabilite di conseguenza. Il Presidente entrante può decidere di continuare con con il Direttore gia' esistente o nominarne uno nuovo di sua scelta.
Il compito del Direttore Generale sara' quello, iniziale, di istituire la Scuola della Pubblica amministrazione  che, come quella francese, puntera' a formare un elite dirigenziale ed a cui si potra' accedere solo per concorso unico. Egli sara' responsabile anche per la nomina dei dirigenti principali della macchina pubblica vista l'approvazione da parte del Presidente della Repubblica. Ogni ente locale sara' libero di introdurre innovazione ma sara' compito della Direzione Generale quello di monitorare le eccellenze amministrative italiane ed uniformarle a livello nazionale. L'ANAC od un dipartimento corrispondente, continuerebbe con le sue funzioni di 'intelligence' per il contrasto e la prevenzione della corruzione, senza pero' scavalcare il principio democratico dello stato di diritto. Il Direttore Generale, di sua iniziativa o su proposta del Capo dello Stato, nomina anche il Capo della Protezione Civile che, quindi, passerebbe sotto la responsabilita' diretta della Presidenza della Repubblica. Il motivo di tale scelta risiede anche questo nell'intenzione di migliorare l'efficenza e soprattutto l'operativita' in caso di emergenze. Oltre ai compiti ordinari che già possiede, la Protezione Civile avra' anche poteri speciali di commissariamento di Enti locali deficitari per quanto riguarda la protezione sismica, il dissesto geologico ed idrogeologico ed i piani di evacuazione. E' fondamentale immaginare una continua comunicazione e cooperazione tra ANAC, Protezione Civile ed il Direttore Generale per garantire fluidita' e continuo miglioramento dei servizi pubblici.
Sara' compito della Direzione Generale quello della negoziazione dei contratti nazionali dell'impiego pubblico.
Per finire vorrei dire che immagino un sistema di questo tipo in un Italia con molte meno Regioni di quelle attuali, massimo 5-8 e che quindi si presterebbe alla possibilita' di nominare meno dirigenti pubblici ma con piu' poteri di coordinamento e controllo.